Quando ho visto Dear John (USA, 2010) di Lasse Hallstrom (Chocolat, Hachiko, Il vento del perdono) sono rimasta un po' delusa.
Adattamento cinematografico di Ricordati di guardare la luna, romanzo di Nicholas Sparks (Last song, I passi dell'amore, Le parole che non ti ho detto), è stato prodotto dalla Temple Hill Entertainment (Twilight, La risposta è nelle stelle, Nativity) e dalla Relativity Media (Limitless, Masterminds, Oblivion).
Distribuito dalla Sony Picture (Hotel Transilvania 2, Ghostbusters, Sette anime), è stato nominato agli MTV Movie Awards e ai People's Choice Awards.
Ambientato tra una Charleston da cartolina e un Afghanistan molto più realistico (povertà, bambini sporchi che giocano e donne dallo sguardo disperato) tra la primavera del 2001 e la fine del 2007, è accompagnato dalle belle musiche di Deborah Lurie (Final letter, Tim's song, See you then).
Il tempo della storia ed il tempo del racconto non coincidono. Il film inizia in piena azione con un flasback: subito dopo il suo ferimento in guerra, il protagonista si rivede bambino, mentre osserva affascinato la coniazione delle monete, durante una gita alla Zecca di Stato.
La storia raccontata, invece, sceneggiata da Jamie Linden (10 years, We are Marshall) ed arricchita dalla scenografia di Kara Lindstrom (A time for dancing), comincia molto prima. A Charleston, nella primavera del 2001, quando il protagonista, John Tyree (Channing Tatum) conosce, per caso, una bella ragazza bionda, Savannah Lynn Curtis (Amanda Seyfried), dopo che il suo amico Randy (Scott Porter) le ha fatto cadere la borsetta con gli appunti in acqua. John si tufferà coraggiosamente dal pontile per restituirgliela, ingraziandosi lei ma facendo ingelosire il ragazzo, con cui in tutto il film avrà un complicato rapporto di rivalità, da cui uscirà vincente.
La non coincidenza di questi due tempi è un punto di forza, anche se il vero significato e l'importanza del flasback si capiranno solo con lo sviluppo del film, prodotto da Marty Bowen (Vicino a te non ho paura) e Wyck Godfrey (Io, robot). Perché, credendo di morire, ha tardivamente scoperto l'amore per un padre timido e strano (Mr.Tyree/Richard Jenkins), che l'ha cresciuto da solo, dopo l'abbandono della moglie, e protetto. Strettamente legata a questo riavvicinamento e comprensione la metafora perfezione-imperfezione, letteralmente quella delle monete, ma anche la salute degli uomini che si trasforma in malattia.
Il rapporto padre-figlio, infatti, è fondamentale in questa pellicola, sottolineato anche dall'analoga situazione familiare, dolorosa, di Tim Weddon (Henry Thomas) ed Alan.
Il tormentato rapporto di John cresciuto e Mr. Tyree che non sa come superare i problemi risulta evidente fin dalla prima scena che li ritrae insieme, ma separati dal metaforico vetro, in penombra, dalla porta della stanza-rifugio in cui il padre resta sempre in compagnia della sua ricchissima ed amata collezione di monete.
Il tormentato rapporto di John cresciuto e Mr. Tyree che non sa come superare i problemi risulta evidente fin dalla prima scena che li ritrae insieme, ma separati dal metaforico vetro, in penombra, dalla porta della stanza-rifugio in cui il padre resta sempre in compagnia della sua ricchissima ed amata collezione di monete.
Tutti questi spunti, oltre al misterioso passato burrascoso di John, sono dispersivi, inseriti per dare stratificazione al film, ma non vengono approfonditi, diventando quasi inutili.
Da quel primo incontro al molo si nota già la diversità dei due protagonisti, che potrebbe dividerli: Savannah si sta divertendo con i suoi amici, mentre lui, dopo essersi rilassato a fare surf, è solo e pensieroso. Fin dalla stessa sera la ragazza cerca di includerlo nella compagnia, invitandolo ad un party nella sua casa sulla spiaggia, ma John non ne farà mai davvero parte. Ai gruppi rumorosi ed invadenti, alla festa al mare e al ricevimento nella fattoria dei genitori di lei, in cui interagisce poco e in modo abbastanza negativo con gli altri uomini, guardinghi, egli preferisce posti silenziosi e solitari. Solo il piccolo Alan, autistico come suo padre, saprà leggergli l'anima e trattarlo amichevolmente.
Durante la scena di quel primo party in spiaggia vengono anticipati, con discreti accorgimenti simbolici (la caduta e la bruciatura di John), i problemi che avrà la loro storia.
Nel film abbondano dunque i soliti ingredienti delle innumerevoli pellicole strappalacrime deli ultimi decenni: colpo di fulmine, baci e abbracci appassionati, addii strazianti, lontananza forzata, pianti, sincere promesse d'amore eterno distrutte dal fato, tradimenti e riconciliazioni.
Anche i valori espressi e gli insegnamenti dati (l'importanza della beneficienza, del sacrificio, del servire la patria con orgoglio e dedizione, del restare uniti nelle difficoltà e della verità), seppur rispettabili ed educativi, sono banali.
E' il finale, soprattutto, che non convince, non chiarisce né risolve le varie situazioni lasciate in sospeso con molti punti interrogativi (anche quella dell'attentato dell'11 settembre e del terrorismo, del campo estivo per bambini autistici, dello sgretolarsi del matrimonio di Tim), i comportamenti dei personaggi e le loro motivazioni.
I protagonisti sembrano restare tutti infelici e perdenti, seppur per diversi motivi, in un mondo che non capiscono e non riescono a controllare. Puniti in modo esagerato per le loro colpe? Tardivi rimpianti? Figli di un inguaribile pessimismo dei loro creatori? Purtroppo non ci è dato saperlo.
Il film sarebbe stato sicuramente migliore, non meno intenso ed edificante con un minor numero di disgrazie, assolutamente non necessarie e troppo abbondati. Il male che attraversa la vita delle persone darebbe stato comunque rappresentato in modo realistico e significativo, ad esempio, con un solo personaggio autistico, con le ferite (del corpo e dell'anima) causate dalla guerra e con la guarigione di almeno uno degli uomini fatti morire solamente per strappare più lacrime (e magari più soldi al botteghino).
I files rouges della storia, le lettere d'amore tra un soldato e la fidanzata ed il romanticismo della luna, seppur abusati in una certa letteratura e filmografia, potevano essere organizzati meglio, dando più compattezza ed originalità alla storia raccontata.
La tematica più coerente e approfondita di questo film in cui uno dei punti di forza, sempre stilistico, è la fotografia di Terry Stacey (P.s. I love you) è l'amicizia, la solidarietà che si crea tra commilitoni.
Gli unici momenti davvero intensi, emozionanti della storia sono condensati nella prima parte, negli appassionati baci sotto la pioggia, nella condivisione del volontariato, nelle canzoni accompagnate dalla chitarra, nella tenera complicità, nel valore del primo biglietto. Oltre, naturalmente, alla lettera più importante, quella scritta al padre morente e lettagli tenendolo, per la prima volta, stretto in un sincero abbraccio.
La Seyfried, inoltre, mi sembra avere, in molti momenti, una recitazione teatrale che non migliora di certo i difetti e le mancanze del film.
Infine, le donne non fanno proprio bella figura: la madre di John e quella di Alan scappano da codarde alla prima difficoltà e Savannah tradisce, sposando, per compassione, un uomo che non ama.
Lo stile, invece, seppur non troppo originale, è buono e prevede sovrimpressioni di immagini della vita dei due protagonisti ed il montaggio alternato di Kristina Boden (Carlito's way) che, in ottima concordanza con i contenuti, ne sottolinea la diversità. Se lei trascorre le serate con gli amici, al mare, a scherzare e gustare buon cibo, lui vive con impegno gli addestramenti delle Forze Speciali e le pericolose missioni: due mondi opposti, lontani, come loro.
Per serietà, l'ho rivisto, con tanto di contenuti extra, ancor più attentamente, per poterlo giudicare meglio, ma purtroppo non mi ha suscitato nuove entusiasmanti sensazioni. Perché un buon film non deve avere bisogno degli speciali per essere compreso a fondo ed apprezzato: essi devono semplicemente restare un gradito dono in più per gli appassionati.
Da quel primo incontro al molo si nota già la diversità dei due protagonisti, che potrebbe dividerli: Savannah si sta divertendo con i suoi amici, mentre lui, dopo essersi rilassato a fare surf, è solo e pensieroso. Fin dalla stessa sera la ragazza cerca di includerlo nella compagnia, invitandolo ad un party nella sua casa sulla spiaggia, ma John non ne farà mai davvero parte. Ai gruppi rumorosi ed invadenti, alla festa al mare e al ricevimento nella fattoria dei genitori di lei, in cui interagisce poco e in modo abbastanza negativo con gli altri uomini, guardinghi, egli preferisce posti silenziosi e solitari. Solo il piccolo Alan, autistico come suo padre, saprà leggergli l'anima e trattarlo amichevolmente.
Durante la scena di quel primo party in spiaggia vengono anticipati, con discreti accorgimenti simbolici (la caduta e la bruciatura di John), i problemi che avrà la loro storia.
Nel film abbondano dunque i soliti ingredienti delle innumerevoli pellicole strappalacrime deli ultimi decenni: colpo di fulmine, baci e abbracci appassionati, addii strazianti, lontananza forzata, pianti, sincere promesse d'amore eterno distrutte dal fato, tradimenti e riconciliazioni.
Anche i valori espressi e gli insegnamenti dati (l'importanza della beneficienza, del sacrificio, del servire la patria con orgoglio e dedizione, del restare uniti nelle difficoltà e della verità), seppur rispettabili ed educativi, sono banali.
E' il finale, soprattutto, che non convince, non chiarisce né risolve le varie situazioni lasciate in sospeso con molti punti interrogativi (anche quella dell'attentato dell'11 settembre e del terrorismo, del campo estivo per bambini autistici, dello sgretolarsi del matrimonio di Tim), i comportamenti dei personaggi e le loro motivazioni.
I protagonisti sembrano restare tutti infelici e perdenti, seppur per diversi motivi, in un mondo che non capiscono e non riescono a controllare. Puniti in modo esagerato per le loro colpe? Tardivi rimpianti? Figli di un inguaribile pessimismo dei loro creatori? Purtroppo non ci è dato saperlo.
Il film sarebbe stato sicuramente migliore, non meno intenso ed edificante con un minor numero di disgrazie, assolutamente non necessarie e troppo abbondati. Il male che attraversa la vita delle persone darebbe stato comunque rappresentato in modo realistico e significativo, ad esempio, con un solo personaggio autistico, con le ferite (del corpo e dell'anima) causate dalla guerra e con la guarigione di almeno uno degli uomini fatti morire solamente per strappare più lacrime (e magari più soldi al botteghino).
I files rouges della storia, le lettere d'amore tra un soldato e la fidanzata ed il romanticismo della luna, seppur abusati in una certa letteratura e filmografia, potevano essere organizzati meglio, dando più compattezza ed originalità alla storia raccontata.
La tematica più coerente e approfondita di questo film in cui uno dei punti di forza, sempre stilistico, è la fotografia di Terry Stacey (P.s. I love you) è l'amicizia, la solidarietà che si crea tra commilitoni.
Gli unici momenti davvero intensi, emozionanti della storia sono condensati nella prima parte, negli appassionati baci sotto la pioggia, nella condivisione del volontariato, nelle canzoni accompagnate dalla chitarra, nella tenera complicità, nel valore del primo biglietto. Oltre, naturalmente, alla lettera più importante, quella scritta al padre morente e lettagli tenendolo, per la prima volta, stretto in un sincero abbraccio.
La Seyfried, inoltre, mi sembra avere, in molti momenti, una recitazione teatrale che non migliora di certo i difetti e le mancanze del film.
Infine, le donne non fanno proprio bella figura: la madre di John e quella di Alan scappano da codarde alla prima difficoltà e Savannah tradisce, sposando, per compassione, un uomo che non ama.
Lo stile, invece, seppur non troppo originale, è buono e prevede sovrimpressioni di immagini della vita dei due protagonisti ed il montaggio alternato di Kristina Boden (Carlito's way) che, in ottima concordanza con i contenuti, ne sottolinea la diversità. Se lei trascorre le serate con gli amici, al mare, a scherzare e gustare buon cibo, lui vive con impegno gli addestramenti delle Forze Speciali e le pericolose missioni: due mondi opposti, lontani, come loro.
Per serietà, l'ho rivisto, con tanto di contenuti extra, ancor più attentamente, per poterlo giudicare meglio, ma purtroppo non mi ha suscitato nuove entusiasmanti sensazioni. Perché un buon film non deve avere bisogno degli speciali per essere compreso a fondo ed apprezzato: essi devono semplicemente restare un gradito dono in più per gli appassionati.