mercoledì 4 maggio 2016

The monuments men: l'arte come vita

The monuments men (USA - Germania, 2014), scritto e diretto da George Clooney (Le idi di marzo) mi ha fatto scoprire un aspetto importante della nostra storia che non conoscevo: la missione di 350 esperti d'arte alleati che fra il 1944 ed il 1952, su mandato di Roosevelt, tentarono di salvaguardare il patrimonio artistico europeo dalla devastazione dei nazisti in fuga, dopo lo sbarco in Normandia. 

                                    
               

Questo composito e speciale gruppo di soldati, formato da architetti, scultori e mercanti, guidati dallo storico dell'arte Frank Stokes (Leslie Stunt, conservatore al Fogg Museum di Harvard) ha una missione difficile, quasi disperata, in quanto spesso ostacolata anche da generali che, non capendone il senso, li considerano pazzi e continuano a perseguire le priorità militari.


                  

Tratto dal romanzo di Robert M. Edsel (1956), il film è recitato da uno straordinario cast di attori di talento (Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin) ed il suo argomento drammatico è spesso smorzato con toni da commedia leggera, grazie ai suoi protagonisti un po' goffi e fuori posto, uomini non più giovani che non sanno usare le armi perché sono stati riformati, eroi imperfetti ma generosi che rischiano la vita per salvare opere d'arte preziose, a cui sono anche affezionati (la Madonna col Bambino di Michelangelo, il Polittico di Gand), e mantenerle integre nella loro bellezza e maestosità per le future generazioni.


Un film fatto più di silenzi e pensieri che di parole, più di sguardi che d'azione, che ci lascia rispettosamente commossi e stupefatti davanti alle case vuote degli ebrei di Parigi, a depositi pieni delle loro cose, della loro vita, come dice la donna tacciata di collaborazionismo che sarà fondamentale per la riuscita della missione, davanti alle miniere in cui i nazisti hanno nascosto migliaia di capolavori rubati, insieme all'oro ricavato dai denti degli ebrei, in attesa di mostrarli nel Museo del Fuhrer o di bruciarli, in caso di sconfitta.

                                      


Un film ricco di citazioni, del cinema contemporaneo e di quello classico, una pellicola storica, di guerra non convenzionale, educativa, divertente e struggente insieme, perché la morte non è solo lo sterminio delle generazioni, ma anche quello del loro passato, della loro identità e cultura, ciò che ci distingue e ci rende unici, salvandoci dall'omologazione di massa e dalla stereotipizzazione.
Un film ricco di umanità, presentato al Festival di Berlino, che, dolente, non dimentica nemmeno la distruzione dell'Abbazia di Montecassino per mano degli alleati, quella dei Buddha per volontà dei talebani e la razzia del Museo Archeologico di Baghdad, dimostrando che, purtroppo, gli errori della storia si ripetono.
La pellicola, bellissima e raffinata, che ha ottenuto il meritato successo, non tralascia l'introspezione, in quanto la ricerca dei personaggi diventa anche ricerca delle proprie radici, della propria infanzia, salvando dal dolore, seppur a volte diventa sacrificio, forse giusto, forse no, sta ad ognuno di noi deciderlo.