domenica 12 ottobre 2014

Tutta la vita (precaria) davanti

Nonostante se ne parlasse molto, non ho visto Tutta la vita davanti (2009) di Paolo Virzì (Ovosodo, Caterina va in città, La prima cosa bella), finché non ho lavorato in un call center. Conclusa quell'esperienza, infatti, ero curiosa di sapere se avevano ragione i detrattori o i sostenitori del film, che desideravo valutare serenamente, senza farmi condizionare da parere altrui. Di questa pellicola, prodotta da Medusa Film (Venuto al mondo, To Rome with love, Benvenuti al nord) e Motorino Amaranto (Tutti i santi giorni, L'estate del mio primo bacio, I più grandi di tutti), conoscevo la trama: sinceramente non mi aspettavo molto, temendo che la storia fosse infarcita di pregiudizi, esagerata nel descrivere i vizi di questa società indubbiamente un po' alla deriva. In principio non ho potuto fare a meno di confrontare la mia vera esperienza lavorativa con quella del film, commentando le somiglianze e le differenze a chi lo stava guardando con me. Poi ho saggiamente deciso di non focalizzarmi solo su quell'aspetto del film, per poterlo godere appieno nel suo insieme. Se inizialmente questa commedia amara mi è sembrata un po' scialba, senza mordente, ho dovuto presto ricredermi e al finale sono arrivata quasi senza fiato, tante erano state le emozioni che il film, sceneggiato dallo stesso Virzì insieme a Francesco Bruni (Ferie d'agosto, Baci e abbracci, My name is Tanino), mi aveva suscitato. In primo luogo sono rimasta sconcertata dall'infelicità generale che vi regna, una tristezza che avvolge ogni personaggio, ance quelli positivi, che sembra non dar loro nessuna possibile serenità. Un film così angosciante per il suo indubbio realismo -è quello che fa più male- o perlomeno ad esso vicino è Welcome (2009) di Philippe Lioret (Mademoiselle, Tue l'amour, Vache-qui-rit), l'intensa storia di Bilal, diciassettenne curdo che dopo aver percorso quattromila chilometri a piedi in cerca di un futuro migliore, con l'aiuto di Simon, insegnante di nuoto provato dalla separazione dalla moglie, attraversa la Manica a nuoto per impedire che la sua fidanzata sposi l'uomo anziano scelto per lei dalla sua famiglia per convenienza economica. Solo il finale di Tutta la vita davanti, con il suo significato, si avvicina a qualcosa come la speranza, la possibilità di redenzione, tramite l'affetto. Con la morte dell'amata madre, infatti, Marta, interpretata dall'attrice Isabella Ragonese (Viola di mare, Dieci inverni, Il giorno in più), sembra aver toccato il fondo: orfana, disoccupata e senza un compagno. Proprio in ospedale, però, grazie alla foscoliana consonanza tra i vivi e i morti, ritrova uno sprazzo di luce nel buio, intravedendo un senso anche nella sua disperazione: e così si mette a ballare, come i medici e i parenti, abbracciata alla madre e con il sorriso sulle labbra, seguendo quel ritmo che cercava all'inizio del film, lo stesso ritmo cantato da Raf (Infinito, Sei la più bella del mondo) in Battito animale (1993) e da Paolo Vallesi (Non andare via, Il cielo di Firenze) ne La forza della vita (1992). è un simbolo di catarsi anche l'imprevista gita al centro commerciale di tutti gli impiegati della Multiple Italia, rimasti senza lavoro dopo l'arresto, avvenuto in loro presenza, di Daniela, che la sera prima ha ucciso Claudio, il capo, interpretato da Massimo Ghini (C'era una volta la legge, Segreti segreti, La sposa era bellissima), in ufficio, dopo aver scoperto che non l'amava e che non voleva un figlio da lei. Sereno, infine, il pranzo all'aperto, simile a quello della scena finale di Ritorno a Could Mountain (2003) di Anthony Minghella (Il paziente inglese, Il talento di Mister Ripley, Complicità e sospetti), di Marta, Sonja (Micaela Ramazzotti) e Lara (Giulia Salerno), che sogna di studiare filosofia, un altro segno di apertura alla speranza di un futuro diverso e migliore, a casa della signora Franca (Tatiana Farnese), cui Marta aveva detto, per ingraziarsela e farle comprare il prodotto, di essere una vecchia amica della nipote. Turbata, però, per aver scoperto che la ragazza si è suicidata per la mancanza di lavoro, e che l'anziana è stata derubata da Lucio, interpretato da un bravissimo Elio Germano (Mio fratello è figlio unico, Diaz, Nine), il venditore che conclude i suoi appuntamenti, si sente in colpa e le regala il compenso ricevuto per la pubblicazione del suo scritto sul confronto tra la filosofia di Martin Heidegger (1889-1976), le dinamiche di relazione tra le telefoniste di un call center e quelle dei protagonisti di un reality show, spettacolo amato dalle ingenue colleghe di Marta. Il furto, la rabbia, l'incidente d'auto che Lucio ha dopo la goliardica punizione per il pessimo risultato ottenuto in quel mese, le dimissioni, sogno segni dell'alienazione, magnificamene descritta in Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin (Il monello, La febbre dell'oro, Luci della città), cui portano quel tipo di lavoro e le sue assurde regole, che creano ansia, competizione e invidia, soprattutto durante le mensili premiazioni e richiami, che con canzoncine motivazionali, balletti propiziatori e messaggi della capo telefonista, Daniela, interpretata da una strepitosa Sabrina Ferilli (Tutti giù per terra, Tu ridi, La grande bellezza), giustamente pluripremiata, spingono ad essere disonesti nei confronti del possibile compratore. Tutto questo, insieme agli scorretti metodi di licenziamento, è il mobbing che il giovane sindacalista Giorgio Conforti, il bravissimo Valerio Mastandrea (Tutti giù per terra, Viola bacia tutti, N-Io e Napoleone), tenta inutilmente di combattere.
Sicuramente il film, in questa angoscia portata dagli eventi negativi che vi accadono, ha un che di bergmaniano: ma i segreti familiari e le misteriose ossessioni nordiche sono lontane da noi e ci sembrano più inverosimili, mentre la situazione di Marta potrebbe essere quella di tanti giovani.
Il montaggio di Esmeralda Calabria (Un giorno devi andare, Habemus papam, Il caimano), la fotografia di Nicola Pecorini (Parnassus, Tideland, Regole d'onore) e le musiche di Franco Piersanti (La nostra vita, La fisica dell'acqua, Fortapàsc) contribuiscono a rendere palpabile  questo senso bressoniano di oppressione e prigionia, in quell'unione di stile e contenuti auspicata da Dario Tomasi (Letteratura e cinema, Manuale di storia del cinema).
Liberamente ispirato al libro Il mondo deve sapere (2006) di Michela Murgia (L'incontro, Presente, L'aragosta), ha vinto due Nastri d'Argento (Regista del Miglior Film e Migliore Attrice Non Protagonista), due Globi d'oro (Miglior Film e Migliore Attrice), quattro Ciak d'Oro (Miglior Film, Miglior Regia, Migliore Attrice Non Protagonista, Migliore Scenografia), oltre a varie nominations ai David di Donatello.
Gli  altri temi del film sono l'amicizia (Di Marta e Sonja), il tradimento (l'avventura di Giorgio e Sonja), il rapporto genitori figli (Sonja e Lara, Marta e la madre malata di cancro, Claudio e i figli), l'amore, visto negativamente come sesso e bugie (il fidanzato di Marta le nasconde il desiderio di lavorare negli USA, Claudio inganna Daniela, Marta non ama Lucio, come Giorgio non ama Sonja) e il precariato, raccontato con ironia (il titolo) e lucido disincanto.
Altri film sul lavoro sono Il posto (1961) di Ermanno Olmi (Centochiodi, Cantando dietro i paraventi, Il mestiere delle armi), La classe operaia va in Paradiso (1972) di Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Il maestro di Vigevano) e Il posto dell'anima (2003) di Riccardo Milani (Benvenuto Presidente, Piano-Solo).
Tutta la vita davanti dimostra che la commedia all'italiana può ancora raggiungere alte vette ed è capace di affrontare in modo serio ed insieme distaccato, i problemi attuali, anche i più scottanti.                  

venerdì 10 ottobre 2014

Favole moderne: Hansel e Gretel cacciatori di streghe

 
Da piccoli, quando ci raccontavano dei due bimbi svegliati nel cuore della notte e abbandonati dal padre nel bosco, catturati da una strega cattiva che li vuole mangiare, non ci siamo mai preoccupati di sapere come sarebbero diventati da grandi, perché, nella nostra ingenuità, ci bastava sapere che si erano salvati uccidendo la strega, dando un lieto fine alla loro storia. Ma la vita è sempre dura, come dimostra Hansel e Gretel cacciatori di streghe (Witch Hunters, 2013) del norvegese Tommy Wirkola. I due fratelli, interpretati da Geremy Renner (Untitled Steve McQueen Biopic) e Gemma Arterton (Tamara Drewe, Scontro tra titani, Men in black 3), infatti, memori di quell'episodio, ricordato nel prologo, che cambiò la loro vita, girano il mondo cercando di salvare le città dalle streghe che le infestano, come succede nella loro missione ad Augsburg, villaggio del XVII secolo da cui sono scomparsi undici bambini. Molto più simili ai supereroi dei fumetti e degli action - movie, da cui il film prende spunto, che non a quelli delle fiabe, Hansel e Gretel, avventurieri - poliziotti - giustizieri che agiscono anche per soldi e per vendetta, combattendo il male non sempre sono accettati e soffriranno affrontando nuovamente il loro passato, di cui scoprono inaspettate verità. Troppo divertente per essere un horror, è ricco di effetti special e di dettagli anacronistici e dissonanti (gli abiti e le armi dei due fratelli, il diabete di Hansel) e tratta vari temi (amore, sacrificio, amicizia, schiavitù, diversità, astrologia). Il bosco in cui si svolge la caccia alle streghe, che ricorda quella dei vampiri nella saga di Twilight, è legato alla metafora del labirinto (le tentazioni, come nella casa di zucchero, il cui forno ricorda i forni crematori), n cui ci si può perdere, come nella magia, se si sceglie quella nera (male/corruzione/cannibalismo) e non quella bianca (bene/purezza/innocenza). Appartenente al genere fantasy, certamente il film non raggiunge l'ottimo livello delle saghe di Harry Potter, Il Signore degli anelli e Le cronache di Narnia. Da questo confuso e banale calderone, infatti, mancante di trama e ricco di approssimazioni, scelte stranianti e poco comprensibili, gratuità (la violenza ed il lessico sporco), stilizzazione (dei personaggi e degli ambienti) e psicologia spicciola si salvano solamente l'ottima resa del tridimensionale, gli splendidi titoli di testa e di coda e la suggestiva fotografia. Altri film, più riusciti, tratti dalle fiabe, sono Biancaneve e il cacciatore (2012) di Rupet Sanders (90 Church, The Juliet), Cappuccetto Rosso Sangue (2011) di Catherine Hardwick (Diamond, Hamlet, Twilight) e la serie televisiva Once upon a time. Il grande e potente Oz (2013) di Sam Raimi (Spider - man, Halloween vol. 1, The gift) non riesce a superare, invece, i mediocri livelli di Hansel e Gretel cacciatori di streghe. Altri film che narrano il rapporto tra fratelli sono Mio fratello è figlio unico (2007) di Daniele lucchetti (La nostra vita, I piccoli mostri, Anni felici), Gente comune (1980) di Robert Redford (Leoni per agnelli, Spy game, L'uomo che sussurrava ai cavalli) e Il silenzio (1963) di Ingmar Bergman. Varie le citazioni: Matrix (1999) di Lana e Andy Wachowski, Django Unchained (2013) di Quentin Tarantino (Pulp fiction, Grindhouse - A prova di morte, Kill bill), Il settimo sigillo (la donna condannata al rogo perché creduta una strega), le Crociate (la benedizione delle armi, Dracula (Gretel assomiglia a mina), Gulliver (i trolls) e La nave fantasma (la rete di ferro usata come trappola per le streghe). Se si fosse badato ad un approfondimento dei contenuti ed alla potenziale ricchezza della storia invece che ad accontentare un certo sostanzioso target di pubblico, il film ne avrebbe certamente giovato.          
 
 
 


Con Up il cinema vola alto

Con Up (2009) di Pete Docter (Wall - e) e Bob Peterson (Cars) la Disney - Pixar firma un altro piccolo capolavoro: una storia intensa e stratificata raccontata con sensibilità anche grazie alla poetica colonna sonora composta da Michael Giacchino (Star Trek). Questo film d'animazione, il primo ad aprire il Festival di Cannes e vincitore di molti premi, infatti, è insieme malinconico e divertente, il ritmo alterna perfettamente la lentezza delle pause liriche legate ai ricordi alla velocità dell' action movie e del last minute rescue (le trappole, il rapimento, la prigionia). I personaggi sono be delineai nelle contraddittorie sfumature della loro psicologia, del carattere e nelle motivazioni dei loro comportamenti in questo profondo e difficile percorso di maturazione e di rinascita (di cui è metafora la tempesta) che li porta ad una ritrovata seppur diversa serenità. Educativo e commovente, Up è la storia di un cambiamento, del passaggio dall'amore alla solitudine, dalla giovinezza alla vecchiaia, dal sogno alla triste realtà. Carl infatti perde l'amata Ellie, compagna d'infanzia e di una vita, con la quale aveva condiviso progetti e delusioni, la gioia dello stare insieme e una tenera complicità. Ma è anche la storia della vittoria della vita sulla morte, della speranza sulla disperazione, dei colori sul buio, perché Carl, rifiutatosi di andare nella casa di riposo a cui era stato destinato a causa del suo gesto d'ira contro il capo cantiere, scappa, sotto gli sguardi attoniti dei passanti, con la sua casa diventata volante grazie ai palloncini che in passato vendeva (lo sguardo dall'alto è metafora della nuova e diversa prospettiva ne confronti della vita). E in compagnia di nuovi amici, il simpatico scout chiacchierone cui manca il distintivo dell'assistenza agli anziani per diventare Esploratore scelto della natura selvaggia, un grande uccello creduto un mostro e un cane parlante, inizia un nuovo ed avventuroso viaggio verso le Cascate Paradiso, il viaggio che avrebbe dovuto compiere con Ellie. Viaggio che diventa interiore, perché l'affettuosa e sincera vicinanza di Russel, anch'egli solo, rende meno duro il cuore di Carl e lo aiuta a ritrovare se stesso, a dare un nuovo senso alla vita e ad alleggerirsi del dolore del passato (la perdita dell'amata casa, simbolo dell'amore per Ellie). E il vuoto da lei lasciato (la seconda poltrona) viene nuovamente riempito, come il libro delle avventure che lei stessa gli aveva regalato. Altri temi di questo film d'animazione, che inizia con una citazione metacinematografica (il cinegiornale sulla truffa dell'esploratore delle Cascate Paradiso Charles Muntz), sono il volontariato, l'ecologia, l'emarginazione (il cane Dug ed il collare della vergogna) e la schiavitù (i cani di Muntz che alla fine si ribellano). E Up ci insegna che la vita stessa è un'avventura, che come una fenice sempre si rinnova, portandoci su diversi sentieri, a fare nuovi incontri e scoperte.



               

Gravity

Il genere fantascientifico non è mai stato il mio preferito, ma Gravity (2013) di Alfonso Cuaròn (Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, I figli degli uomini) è uno dei più bei film che ho visto: poca azione, dialogo essenziale e pregnante (anche il lessico sporco e realistico utilizzato nelle situazioni di pericolo), paesaggi mozzafiato, ottimi effetti speciali e una storia profonda e commovente che offre molti spunti di riflessione. L'odissea di Matt (George Clooney) e di Ryan (Sandra Bullock), astronauti che a causa di una tempesta di detriti (che ricorda quelli delle esplosioni in guerra) si ritrovano a fluttuare sospesi nel buio dello spazio senza shuttle né punti di riferimento (anche l'anima di Ryan, dopo la morte della figlia, è sospesa e smarrita), racconta la solitudine e la fragilità dell'uomo, l'angosciante silenzio della natura, e forse di Dio, nei confronti delle sue sofferenze. Il vorticoso viaggio dei due compagni, così vicino alla morte (i detriti uccidono tutti gli altri astronauti, uno dei quali ricorda la madre di Norman Bates in Psyco), alla ricerca della salvezza, però, metafora delle prove della vita, è anche un percorso interiore, la ricerca di sé stessi e di una visione diversa delle cose, che doni nuovo senso alla vita. E la seria disperazione di questo originale e poetico thriller, giustamente acclamato a Venezia, lascia posto all'ironia, all'ottimismo e alla speranza, come dimostrano il sacrificio di Matt, novello Virgilio che guida dal buio ala luce, e la contre - plongée finale, simbolo di rinascita e salvezza, ricordate anche dall'acqua, purificatrice, in cui Ryan precipita.    
 
 
 
                
 

Il nido di Simo

ATTENZIONE,
annuncio per tutti gli amici in volo nei cieli del cinema, della letteratura e dell'arte: prossima fermata Il nido di Simo, il mio nido, finalmente sul web.
Benvenuti e buona lettura.